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Voci di donne, la parola a Dacia Maraini

di Maria Luisa Colledani

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5 marzo 2009


"Per quanto tempo mi sono rotta gli occhi e il cuore in una cantina bianca di calce e miseria?" si chiede Dacia Maraini sulla home page del suo sito web.
Sembra la domanda delle domande per tutte le donne di oggi. Stuprate, violentate, affrante, obbligate, senza la forza di volare. La scrittrice, 62 anni, la più tradotta tra le autrici italiane contemporanee, si fa voce delle donne nelle sue pagine, nel suo teatro, nei suoi versi e percorre l'Italia in lungo e in largo per portare le donne sul palcoscenico, perché parlino, perché possano urlare il buio e la luce. Con forza e coraggio.

Il concorso indetto dal Quirinale sul tema del rispetto delle donne ha riscosso grande interesse da parte dei giovani. Come vede evolvere questo concetto, lei che ha scritto con il gruppo Controparola il libro "Amorosi assassini" (Laterza), raccogliendo trecento casi di violenze sulle donne? I giovani rispettano le coetanee più di quanto facessero i loro padri?
Non credo che i figli siano meglio dei padri. E questo dimostra che i modelli televisivi sono più potenti dell'insegnamento di famiglia. Siamo tutti figli dei media prima che dei nostri padri e delle nostre madri. Perché anche loro sono travolti dai modelli che propongono le televisioni, la moda, la pubblicità, i filmati e tanta carta stampata: l'uomo predatore e la donna preda. Le ragazze che devono parlare solo con il linguaggio della seduzione e i ragazzi che debbono rispondere volgarmente a questo linguaggio. Un disastro antropologico!

La Questura di Roma segnala che solo il 5% delle donne denuncia le violenze: come mai? Questo dato implica anche uno scarso rispetto di sé e del proprio ruolo sociale? Non è un segnale di disarmo rispetto alla salvaguardia dei propri diritti?
Non attribuirei solo alla disistima la mancanza di denunce, ma spesso alla mancanza di fiducia nella giustizia, e nella polizia. Segue la paura del partner violento. E spesso perfino la paura di suscitare riprovazione in famiglia. Comunque sì, c'è anche la disistima di sé, ed è un guaio per le donne. Ma la disistima viene da una cultura patriarcale che stenta a scomparire.

Come difendersi e come reagire alle tante situazioni di discriminazione e agli storici stereotipi sulle donne?
Parlandone prima di tutto, analizzando i fatti, denunciando le discriminazioni di cui si viene a conoscenza. E poi difendendo con orgoglio la causa delle donne, in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo. Cosa che purtroppo non avviene. Molte donne, anche di successo, hanno paura di difendere le altre donne e fanno il gioco delle discriminazioni.

Come costruire nelle nuove generazioni una forte etica del rispetto per le donne? Che cosa possono fare la scuola e la formazione?
Bisognerebbe cominciare molto presto, nelle scuole materne. Elena Gianini Belotti ha scritto un libro importante in cui ha dimostrato che già prima di nascere la creatura è segnata per il suo genere. Il nastro azzurro o rosa contiene in sé già una indicazione di divisione dei compiti che si ripete di generazione a generazione.

5 marzo 2009
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